Sono 16 le persone destinatarie di misure cautelari – di cui 7 agli arresti domiciliari e 9 con obbligo di dimora – nell’ambito dell’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari su un presunto traffico illecito di rifiuti e gestione abusiva di rifiuti speciali non pericolosi nel Foggiano.
Nell’operazione “Bios” portata a termine da oltre cento militari durante la scorsa notte, oltre alle misure cautelari personali sono stati eseguiti sequestri preventivi per equivalente nei confronti di 4 società e 22 persone fisiche che avrebbero avuto un illecito profitto di circa 26 milioni di euro. In particolare sono stati posti i sigilli a 255 terreni agricoli per una superficie complessiva di 353 ettari, a 48 immobili, 4 complessi aziendali, quote societarie, conti correnti, depositi finanziari e automezzi, su questi è stato disposto anche il sequestro “impeditivo”, per un valore di oltre 3 milioni di euro.
Stando alle indagini della Guardia di finanza, coordinate dai pm Nitti, D’Agostino e Gambardella, le società, tutte riconducibili alla famiglia Montagano della provincia di Foggia, per almeno 7 anni, avrebbero abusivamente trattato almeno 240 mila tonnellate di rifiuti conferiti da imprese campane, pugliesi e dai Comuni di Chieuti, Serracapriola, Lucera e San Severo.
I rifiuti, qualificati come “compost”, cioè fertilizzante organico stabilizzato biologicamente, in realtà non sarebbero stati trattati secondo le norme e sarebbero stati poi smaltiti illecitamente in terreni agricoli del territorio dauno, talvolta riconducibili agli stessi indagati.
Lo smaltimento avveniva con una simulata vendita, con la produzione di falsi documenti di trasporto e altra documentazione contabile che attestava l’apparente commercializzazione dei rifiuti trattati (anche per depistare l’attività di vigilanza e controllo ambientale). Questo avrebbe avuto “evidenti ricadute sulle emissioni di sostanze odorigene, che hanno suscitato particolare allarme nella popolazione residente, – spiega la Procura – costretta a respirare aria infestata dalle esalazioni dei rifiuti sversati sul terreno”.
Per commercializzare questo fertilizzante sarebbe stata in alcuni casi “simulata la permuta con prodotti di derivazione agricola (mosto d’uva) da parte di aziende vinicole”, quando non veniva scaricato in località inesistenti.