Ha ringraziato per la calorosa accoglienza dei suoi concittadini l’appuntato Riccardo Casamassima, teste e chiave fondamentale nella riapertura del caso sulla morte di Stefano Cucchi, il geometra romano fermato dai Carabinieri nell’ottobre 2009 per detenzione di stupefacenti e morto dopo 7 giorni di custodia cautelare.
Nell’auditorium Monsignor di Donna della Chiesa del Santissimo Sacramento di Andria, il carabiniere grazie all’associazione “IdeAzione”, ha raccontato i suoi inizi, l’arruolamento, la denuncia fatta nel 2014 e il demansionamento dopo 20 anni passati in strada: “Subito dopo la deposizione in aula mi è arrivato il trasferimento, un trasferimento fatto per danneggiare. Il segnale che passa è un segnale sbagliato: perché una persona che vorrebbe poter denunciare delle situazioni simili, potrebbe prendere ad esempio quello che è successo a me. Quindi andare a compromettere la famiglia, quando hai bimbi piccoli e le spese che una famiglia media italiana si trova ad affrontare, comincia a rappresentare un problema importante”.
Alla base c’è il caso giudiziario, le indagini preliminari viziate da errori, false testimonianze, le sentenze, poi le assoluzioni e la riapertura del fascicolo con la faticosa risalita verso la verità, a cui si è aggiunta, lo scorso ottobre, anche l’ammissione del pestaggio da parte di uno degli imputati. Ma perché testimoniare dopo tanto tempo? “La testimonianza è nata dopo sei anni perché non avevo seguito tutto quello che stava succedendo nell’iter processuale. Ho deciso di testimoniare quando mi sono reso conto, alla fine del 2014, che erano state condannate delle persone innocenti. E che quindi quello che noi avevamo appreso fin da subito era fondamentale per poter dare la verità ad una famiglia che la stava cercando e vedevo la sorella Ilaria che la cercava in modo disperato”.
Dopo la chiacchierata è stato proiettato il film di Alessio Cremonini, “Sulla mia pelle” con Alessandro Borghi: “Il messaggio che deve passare è che il lavoro che noi rappresentiamo non è quello che vedrete nel film, dove un ragazzo viene massacrato di botte e le motivazioni purtroppo non si sanno. Non si riesce a comprendere come mai delle persone siano arrivate a fare delle tali azioni nei confronti di un ragazzo. E diventa inaccettabile perché chi sta nelle mani dello Stato deve rientrare a casa, invece questo ragazzo è entrato sano in caserma ed è uscito da morto”.
Casamassima, nonostante tutto, crede fortemente nel ruolo delle istituzioni, in quell’arma per cui a 18 anni decise di arruolarsi: “Mi auguro di rimanere a lavorare, di continuare a fare il mio lavoro, quello per cui sono partito da Andria”.