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Il decreto crescita è legge e ora il futuro del siderurgico tarantino potrebbe essere a rischio. È arrivato, infatti, dal Senato il sì definitivo al provvedimento che prevede l’eliminazione dell’immunità penale stabilita nel 2015 per chi gestisce l’ex Ilva, adesso in mano ad ArcelorMittal.

Il colosso industriale, nei giorni scorsi, ha più volte minacciato la chiusura dello stabilimento tarantino, in mancanza delle pretese tutele legali. Per ArcelorMittal, infatti, “l’entrata in vigore del decreto legge crescita non consentirebbe ad alcuna società di gestire l’impianto oltre la data fissata dal Governo”. Per questo il siderurgico tarantino rischia di chiudere i battenti il prossimo 6 settembre, data nella quale scadrà l’immunità penale.

Dura la posizione del vicepremier Luigi Di Maio che ha parlato di ricatto ma che ha annunciato, allo stesso tempo, l’incontro con l’azienda fissato per il 4 luglio e quello con i sindacati previsto per il 9 luglio, aprendo di fatto un nuovo tavolo della trattativa.

Parole pesanti pronunciate anche dal Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano che ha parlato di  “ricatto orribile e inaccettabile”.

Opposta la linea del vicepremier Matteo Salvini che, pretendendo la salvaguardia dei posti di lavoro e a difesa dell’acciaio di Taranto, si è schierato dalla parte di Arcelor Mittal. Immediata la replica del Ministro dello sviluppo economico, Luigi Di Maio che lo ha accusato di “interferenza su una trattativa in corso”.

E nel bel mezzo delle polemiche e trattative i sindacati sono sul piede di guerra. Per i lavoratori, infatti, resta ancora il nodo cassa integrazione da sbrogliare.