La Corte di Cassazione ha confermato in via definitiva la condanna di sei imputati per il crollo colposo della palazzina di via Roma a Barletta, avvenuto il 3 ottobre 2011, nel quale morirono quattro operaie ed una ragazzina che erano in un opificio al piano terra dell’edificio.
Per alcuni di loro, comunque, dovranno essere riquantificate le pene perché alcuni reati, come le lesioni colpose, sono ormai prescritti. La Suprema Corte ha inoltre confermato l’assoluzione di sei dei 14 imputati, rigettando i ricorsi di Procura generale e parti civili. Confermati anche i risarcimenti danni alle parti civili, decine di familiari delle vittime, associazioni, sindacati, Regione Puglia e Comune di Barletta.
Stando all’ipotesi accusatoria, il crollo fu causato dai lavori di demolizione della palazzina adiacente a quella dove c’era la maglieria nella quale morirono quattro operaie e la figlia del titolare e rimasero ferite altre nove persone. In primo grado, nel dicembre 2015, quattordici imputati – progettisti, costruttori, vigili urbani e funzionari del Comune – erano stati condannati dal Tribunale di Trani per i reati, a vario titolo contestati, di disastro colposo, omicidio colposo e lesioni colpose plurimi, omissione di atti d’ufficio e violazione di norme antinfortunistiche.
La Corte di Appello di Bari, poi, nel maggio 2018, aveva ridotto le pene per otto imputati, assolvendo gli altri. Per sei di quegli otto la Cassazione ha reso definitiva la condanna per il reato di crollo di costruzione. Un nuovo processo di appello, però, dovrà stabilire il trattamento sanzionatorio per l’allora direttore dei lavori del cantiere, l’architetto Giovanni Paparella, per il geometra Vincenzo Zagaria e per l’ingegnere comunale Rosario Palmitessa. I giudici hanno inoltre annullato con rinvio la condanna per Giovanni Chiarulli, titolare della impresa esecutrice dei lavori di demolizione, sia per il reato di disastro che per quello di omicidio colposo.
Per i fratelli Salvatore e Andrea Chiarulli e per Cosimo Giannini, legale rappresentante dell’omonima società proprietaria del suolo in cui si stava lavorando, la Corte ha ridotto di 3 mesi la condanna inflitta.
Confermata, infine, la condanna a 1 anno e 4 mesi di reclusione per il maresciallo della polizia municipale Giovanni Andriolo, imputato per falso, perché il suo ricorso è stato dichiarato inammissibile.